Crepapelle IT

Riccardo Giacconi
Crepapelle
2015




It was meant to be funny, I said, knowing they couldn’t possibly believe me.

– Milan Kundera, The Joke, 1967


“Non credi che l’arte contemporanea si prenda troppo sul serio?”

Questo mi ha chiesto un mio amico fisico all’uscita di una mostra che avevamo visto insieme. Io ho subito cercato di controbattere, raccontandogli alcuni lavori di Maurizio Cattelan, Richard Prince, John Baldessari, Fischli & Weiss, fino ad arrivare a Piero Manzoni e Francis Picabia.
“A me sembrano molto divertenti”, gli dicevo.
“Sì, può essere”, mi ha risposto poco convinto, “ma quando dico ridere intendo a crepapelle, come quando guardi i film di Totò o leggi Tre uomini in barca”.

Dopo averci pensato un po’, ho dovuto ammettere che in qualche modo aveva ragione: non solo non mi veniva alla mente un’opera d’arte contemporanea che mi avesse fatto ridere a crepapelle; neanche riuscivo a ricordare di qualcuno che mi avesse riferito un’esperienza del genere.[1]

Senza darmi per vinto, ho iniziato a raccontargli del testo che Marcel Duchamp pubblicò (assieme a Henri-Pierre Roché e Beatrice Wood) sulla rivista The Blind Man nel 1917, in cui veniva discussa l’esclusione di Fountain, il suo celebre orinatoio rovesciato, dall’esposizione organizzata dalla Society of Independent Artists di New York. Il testo difendeva l’artista inesistente Richard Mutt, presunto autore dell’opera:

Ecco le basi su cui è stata rifiutata la fontana del Sig. Mutt:
- Alcuni hanno detto che era immorale, volgare.
- Altri hanno detto che era il plagio di un semplice impianto idraulico.
Ora, che la fontana del Sig. Mutt sia immorale, è assurdo: non è certo più immorale di una vasca da bagno; è un oggetto che si può vedere ogni giorno in una qualsiasi vetrina di impianti idraulici. […] Rispetto al fatto che sia un semplice impianto idraulico, anche questo è assurdo. Le uniche opere d'arte che l'America ha prodotto sono i suoi ponti e i suoi impianti idraulici.

Ho raccontato questo testo al mio amico come se fosse una barzelletta; tale, infatti, mi è sempre sembrato, soprattutto per la perfetta punch line finale, feroce verso l’ambiente artistico statunitense dell’epoca. Gli ho poi spiegato che quel testo era anche una delle prime formulazioni teoriche del ready made e che, quindi, su di esso è stata in un certo modo fondata la nostra idea di arte contemporanea; in particolare su questo frammento:

Se il Sig. Mutt abbia fatto o no la fontana con le sue mani non ha importanza. Egli l'ha SCELTA. Ha preso un comune oggetto di vita, l'ha collocato in modo tale che la sua valenza pratica scomparisse sotto il nuovo titolo e punto di vista; ha creato una nuova idea per quell’oggetto.



“The Blind Man” n.2, 1917 (part.)



“Ecco perché!” mi ha risposto il mio amico dopo aver riflettuto qualche secondo.
“Se è vero che l’arte contemporanea è iniziata con uno scherzo, non mi stupisce che debba prendersi costantemente sul serio”.
Partendo da questa ipotesi, abbiamo iniziato a riflettere su come sarebbe cambiata la storia dell’arte se lo “scherzo” di Duchamp non fosse stato preso sul serio, su cosa sarebbe accaduto se non si fosse costruita su di esso l’idea stessa di arte che il mondo occidentale ha condiviso fino ad oggi.

Il mio amico fisico ha poi iniziato a parlarmi del cosiddetto “Affare Sokal”. Nel 1996 l’autorevole rivista accademica di cultural studies Social Text pubblicò il saggio "Transgressing the boundaries: towards a transformative hermeneutics of quantum gravity", del fisico statunitense Alan Sokal. L’articolo, zeppo di citazioni di eminenti pensatori postmoderni, dichiarava di voler dimostrare come “la scienza postmoderna fornisca una potente confutazione dell’autoritarismo e dell’elitismo insiti nella scienza tradizionale”, oltre a svelare il carattere capitalista, patriarcale e militarista della matematica tradizionale.

Lo stesso giorno in cui il saggio fu pubblicato, Sokal rivelò su un’altra rivista che si trattava di uno scherzo, descrivendolo come “un pasticcio di ideologie di sinistra, riferimenti ossequiosi, citazioni grandiose e puro nonsense, strutturato attorno alle più sciocche dichiarazioni di accademici postmodernisti riguardo alla fisica e alla matematica”. "Transgressing the boundaries", insomma, non era da prendere sul serio: il suo vero scopo era mostrare come un testo, se ben presentato e provvisto del vocabolario in voga fra gli “esperti”, può essere accettato da un sistema culturale anche se totalmente privo di senso.[2]




Anton Raphael Mengs, Giove che bacia Ganimede, 1759


Ho risposto raccontando lo scherzo giocato dal pittore Anton Raphael Mengs ai danni di un suo amico, l’illustre storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann. Nel 1759 Mengs realizzò un affresco (Giove che bacia Ganimede) alla maniera di un’antica pittura romana, imitando le scrostature, i restauri e le screpolature dell’intonaco. Winckelmann cadde nell’inganno: non accorgendosi del falso, sembra che lo abbia definito “il più bello finora pervenuto dall’antichità”.

Ricordo un episodio che Giorgio Agamben riferiva spesso durante le sue lezioni a Venezia. Riguardava il teologo medievale Pierre de Poitiers, che contribuì, con una singolare teoria, alla controversia sulla validità ed effettualità della liturgia sacramentale.[3] All’epoca, il problema era decidere se un sacramento fosse valido indipendentemente da chi lo amministrava. Ad esempio, ci si chiedeva se il battesimo fosse valido anche se il prete che lo celebrava era un ladro, un apostata, un assassino. Dopo un lungo dibattito la Chiesa stabilì che, indipendentemente dal carattere morale del prete, il battesimo sarebbe stato valido in ogni caso. La teoria di Pierre de Poitiers, però, specifica che l’unica situazione in cui il battesimo non è valido è se il prete che lo amministra sta scherzando. Lo scherzo, insomma, sarebbe l’unica causa capace di annullare un sacramento.

Questa tesi rivela chiaramente la potenzialità distruttiva dello scherzo, un dispositivo capace di disinnescare la dicotomia fra vero e falso. Ciò che riguarda lo scherzo, infatti, non ha più a che fare con una verità o una falsità; riguarda piuttosto un regime performativo in cui una comunità, anche minima, decide di accettare l’esistenza di una certa realtà. Simon Critchley parla di un “tacito accordo sul contesto sociale in cui ci troviamo, il quale opera come sfondo implicito dello scherzo; […] una sorta di consenso o di implicita intesa comune su ciò che costituisce lo scherzo per noi[4].

Allo stesso modo in cui uno scherzo potrebbe minare alle fondamenta l’esistenza stessa del sacramento liturgico, il regime dell’arte di oggi sarebbe messo in discussione se non si prendessero sul serio le sue basi, come ad esempio il gesto del ready made duchampiano. Spesso si sono fatte notare le somiglianze strutturali fra il sistema di valori e credenze condivise su cui si basa un credo religioso, e quello alla base dell’istituzione sociale dell’arte contemporanea.

Il filosofo delle religioni Mark C. Taylor afferma che “nel capitalismo finanziario si crea ricchezza attraverso la circolazione di segni. E così anche l’arte è diventata un gioco di segni senza referenza, un astratto strumento finanziario all’interno di un circolo il cui fine è la proliferazione di segni finanziari. Quando l’arte della finanza diventa la finanza d’arte, l’arte non è più solo una merce, ma […] viene scambiata come qualsiasi altro strumento finanziario”[5]. È chiaro che, in quanto oggetto di enormi investimenti economici, l’arte contemporanea abbia strutturalmente bisogno di essere presa tremendamente sul serio.




Angus Fairhurst, Gallery Connections, 1991. Courtesy The Estate of Angus Fairhurst


L’istallazione sonora Gallery Connections (1991) di Angus Fairhurst prende di mira proprio la serietà dell’economia dell’arte. Fairhurst è forse stato, fra gli Young British Artists, l’artista che più brillantemente ha utilizzato il caratteristico wit britannico. Più che l’installazione o l’audio, il medium di Gallery Connections sembra essere lo scherzo stesso: l’artista inglese registrò una serie di conversazioni telefoniche forzate fra impiegati di diverse gallerie d’arte. Fairhurst chiamava contemporaneamente due diverse gallerie e poi avvicinava le cornette, rimanendo in silenzio. Gli interlocutori, inizialmente disorientati, diventavano a poco a poco sempre più ostili, proprio come nei tipici scherzi telefonici. L’opera di Fairhurst generò il caos fra le gallerie di Londra, che per qualche giorno evitarono di usare il telefono, temendo di essere sotto intercettazione da parte del fisco inglese. In seguito, le trascrizioni delle Gallery Connections furono pubblicate sul numero pilota della rivista Frieze.

Qualche tempo dopo la conversazione col mio amico fisico, sono andato a pranzo con l’artista israeliano Roee Rosen, e gli ho raccontato i miei interrogativi su scherzi e arte. Lui non era assolutamente d’accordo con l’idea che all’arte contemporanea sia preclusa la possibilità di far ridere, e mi ha parlato di un suo saggio[6] sulla contrapposizione fra, da una parte, ironia, sadismo e Bruce Nauman e, dall’altra, humour, masochismo e Vito Acconci. La distinzione fra ironia e humour è tradizionalmente legata alla dualità spaziale fra dentro e fuori: la prima utilizza il linguaggio prendendo distanza da esso e, secondo Freud, “volendo intendere proprio il contrario di quanto si dice”.

Lo humour opera invece sempre da dentro; è “un mezzo per ottenere piacere nonostante le emozioni penose che intervengono” nella situazione in cui ci si trova: esso “prende il loro posto”[7]. Secondo Rosen, l’ironia e il sadismo appartengono a uno stesso asse concettuale, che attraversa diverse opere di Bruce Nauman. Un esempio è il video-loop del 1987 Clown Torture (Dark and Stormy Night With Laughter), in cui la tortura di un clown consiste nel ripetere all’infinito una filastrocca senza fine: “It was a dark and stormy night. Three men were sitting around a camp fire. One of the men said, ‘Tell us a story Jack.’ And Jack said, ‘It was a dark and stormy night. Three men were sitting around a camp fire. One of the men said (...)”. Alcuni lavori di Vito Acconci, invece, sarebbero attraversati dall’asse humour/masochismo, ad esempio Seedbed (1972), la celebre performance in cui l’artista, nascosto sotto una rampa di legno percorribile, si masturbava raccontando a voce alta le sue fantasie sessuali sui visitatori che gli camminavano sopra.




Roee Rosen, Hilarious, video still, 2010. Courtesy the artist


L’interesse di Roee Rosen per i meccanismi della risata è alla base del suo video Hilarious (2010), interpretato dall’attrice israelo-americana Hani Furstenberg di fronte al pubblico di uno studio televisivo. Nella forma di un monologo di stand-up comedy, vengono raccontati una serie di fatti di cronaca, morte, violenza e politica spesso legati al contesto israeliano, inframezzati da storie e battute simili ai Witz ebraici studiati da Freud. Per Rosen, “Hilarious intende esaminare la possibilità dell’umorismo disfunzionale e della risata che emerge quando non c’è niente da ridere. Se l’umorismo è un meccanismo istituito per far fronte ad argomenti inquietanti e spesso proibiti, questa performance non solo sbilancia tali strutture attraverso il loro fallimento, ma propone anche una diversa manifestazione di tali argomenti, esposti senza la maschera della risata”.[8]

Seguendo l’indicazione di Roee Rosen, sono andato a leggere i più famosi studi sui meccanismi della risata, quelli di Freud e di Bergson, dove mi sono sorpreso nel trovare numerose tracce dell’enigmatica analogia fra arte e scherzo. Nel suo saggio sul Motto di spirito, Freud osserva che lo scherzo ha strutturalmente bisogno di un pubblico: “nessuno può dirsi soddisfatto per averne creato uno solo per se stesso. […] È qualcosa che cerca, attraverso la comunicazione della propria idea, di portare a conclusione lo sconosciuto processo della sua creazione”[9]. Bergson, ne Il riso, aveva già fatto notare che “la risata è sempre quella di un gruppo”, dato che “il riso risponde a determinate esigenze della vita sociale”[10]. Si potrebbe facilmente applicare tali osservazioni a ciò che intendiamo, oggi, come arte. Freud osserva inoltre che l’esistenza dello scherzo è condizionata dalla disponibilità ad accettarlo come tale: “solo quello a cui io permetto di essere una battuta di spirito è una battuta di spirito”. Viene subito alla mente la definizione tautologica di Dino Formaggio del 1981: “arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte”[11]. Bergson è ancora più esplicito quando afferma che “il comico nasce nel momento preciso in cui la società e la persona […] iniziano a trattare se stesse come opere d’arte”: esso stesso “oscilla tra la vita e l’arte”.[12]

Quando ho incontrato nuovamente il mio amico fisico, gli ho raccontato una storiella che ho poi scoperto essere la variazione di un “motto di spirito” freudiano:

Duchamp prese a prestito una bicicletta da Picabia e, dopo averla restituita, fu citato in giudizio dall’amico perché alla bicicletta mancava la ruota davanti ed era perciò inservibile. La sua difesa fu: “Per prima cosa non ho mai avuto in prestito una bicicletta da Picabia; in secondo luogo, alla bicicletta già mancava una ruota quando la presi da lui; e terzo, io gli ho restituito la bicicletta intera.





[1] Cfr. What’s so funny?, simposio su arte e comicità organizzato
il 14 Ottobre 2014 in occasione di Frieze Art Fair (partecipanti:
Nathaniel Mellors, Aleksandra Mir, Roee Rosen e Olav Westphalen).

[2] Alan D. Sokal, “A Physicist Experiments With Cultural Studies”, Lingua Franca, May/June, 1996.

[3] Cfr. Giorgio Agamben, Liturgia and the Modern State, European Graduate School Video Lectures, http://www.youtube.com/watch?v=jK-s3qHfLgw Trascrizione della conferenza: http://automatist.net/deptofreading/wiki/pmwiki.php/Liturgia

[4] Simon Critchley, Did You Hear The One About The Philosopher Writing A Book On Humour?, Richmond Journal of Philosophy 2, 2002.

[5] Mark C. Taylor, Financialization of Art (January 28, 2013), in “Capitalism and Society”, Vol. 6, Issue 2, Article 3, 2011.

[6] Roee Rosen, Sore Eros Conversions. Aggression and Submission in the Art of Bruce Nauman and Vito Acconci, Studio Art Magazine n. 55, 1995.

[7] Sigmund Freud, Der Witz und seine Beziehung zum Unbewußten, 1905 (tr. it. Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio, Torino, Boringhieri, 1975).

[8]Hilarious is set to examine the possibility of dysfunctional humor and laughter stirred when there is no reason to laugh. If humor is a mechanism set to cope in particular ways with disturbing, sometimes forbidden topics, this performance not only offsets these structures through their failure, but also offers a different manifestation of these topics, left exposed without the guise of laughter.” Cfr. Roee Rosen, Towards the work Hilarious – Former Cases of Dysfunctional Humor, http://roeerosen.com/tagged/Writings-by-RR

[9] Sigmund Freud, op. cit.

[10] Henri Bergson, Le rire, Parigi, 1900 (tr. it. Il riso, Roma-Bari, Laterza, 1994).

[11] Dino Formaggio, L'arte come idea e come esperienza, Mondadori, Milano 1981.

[12] Cfr. anche Situation Comedy: Humor In Recent Art (Independent Curators International, 2005); When Humour Becomes Painful (JRP|Ringier, 2005), The Artist's Joke (MIT Press – Whitechapel, 2007); Black Sphinx: On the Comedic in Modern Art (JRP|Ringier, 2010).